Rassegna Stampa

IL CRAC ETICO E L'ILLUSIONE DI ESSERE SANI

Data: 26/06/2019

Editoriale del Direttore di Libertà Pietro Visconti

Alle 5 di ieri mattina è iniziato per Piacenza il giorno zero. L'arresto di Giuseppe Caruso non ha precedenti, qui, sotto il Gotico, per la gravità delle accuse e per la eminente carica di vertice dell'accusato. Un affiliato alla 'ndrangheta sullo scranno più alto del Consiglio comunale: nientemeno questo è lo scenario che ci consegna l'inchiesta della Dda sulle infiltrazioni mafiose in Emilia Romagna. La scossa è tremenda. Mette in discussione un caposaldo del nostro sentire civico, il ritenerci - con una qualche ragione - una città e un territorio dove l'etica della vita pubblica va a testa alta.  

Perché è vero che macchie ce ne sono state, nei decenni, e che il regno dei tutti innocenti è (se c'è) altrove. Ma da una parte la magistratura ha sempre svolto con continuità la sua giusta funzione di controllo di legalità e dall'altra la dirittura morale della stragrande maggioranza dei protagonisti della scena pubblica ci ha tenuti lontano dai regni abituali di Scandalopoli. Abbiamo anche visto all'opera lodevoli meccanismi di autocorrezione come nel caso gravissimo - sono trascorsi soltanto due anni - in cui l'esercito dei cinquanta furbetti dell'assenteismo in Comune fu smascherato da altri dipendenti comunali (la Polizia municipale). Questo è il quadro su cui piomba l'arresto di Caruso. Dirà il processo se le accuse gli meritano una condanna. Gli elementi che l'indagine mette sotto gli occhi dei cittadini sono inquietanti. E la "scoperta" che Piacenza fa in queste ore è da paura: una testa della Piovra si è allungata (o ha tentato di allungarsi) anche qui da noi. Fine di una illusione, fine dei luoghi comuni rassicuranti sul "loro" Sud infetto e il "nostro" Nord tutto bello e sano. Sarebbe già grave se Caruso fosse solo un privato cittadino che ha svenduto a un clan il suo lavoro di funzionario della Dogana. Ma Caruso è pure presidente del "parlamentino" della città. Il disonore che getta sulle istituzioni è massimo e il clima da k.o. che si respirava ieri nel Palazzo comunale è proporzionato alla gravità del colpo. Ma ora, che fare? È urgente che ciascuno si assuma le sue responsabilità. Caruso per primo. Avrebbe detto ai poliziotti che "io non c'entro niente". Per dimostrarlo, si dimetta dalla carica che ha intrecciato così drammaticamente le sue complicità criminali e – appunto – l'onorabilità di Piacenza. Non basta la sostanziale espulsione da Fratelli d'Italia, il partito che, attraverso il suo plenipotenziario locale Foti, aveva ottenuto per lui la prestigiosa poltrona di presidente del Consiglio comunale. Non si può certo imputare a Fratelli d'Italia di non aver smascherato in proprio il volto nascosto di Caruso. Ma una riflessione su come al suo interno una figura così sia diventata centrale, si impone. Si chiama autocritica. Le opposizioni parlano di città umiliata e in questo non esagerano. È giusta una rapida operazione-verità per verificare che – come ha detto il magistrato titolare dell'inchiesta – i "traffici" di Caruso siano rimasti fuori dall'Amministrazione comunale. È avvilente vedere Piacenza teatro di un ennesimo capitolo del malaffare italiano. Nella reazione, occorre maturità. Politicamente, questo significa prendere consapevolezza che il crac etico può riguardare chiunque, anche chi ha il vezzo di sbandierare la questione morale sotto il naso altrui. Corrotti e amici dei mafiosi vanno considerati coralmente nemici comuni della buona politica. Maturità significa archiviare, sulla scorta di un caso eccezionalmente grave, l'abitudine di sentirsi più puri quando tocca ad uno degli altri e più garantisti quando tocca ad uno dei propri. Così, forse, il giorno zero di Piacenza non sarà a somma zero.

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