LA VOCE DELLA GENTE AI MERCATI E NELLE PIAZZE SUL REFERENDUM
«Ho votato Sì senza alcun dubbio. Se avessi potuto avrei votato altre dieci schede. I politici devono andare a casa». Ma sa quanti parlamentari saranno tagliati? «La metà… no… forse 300… boh». Sono
345, un terzo circa. «Troppo pochi».
Ma lei conosce qualche parlamentare piacentino? «Non è Bersani?».
Se mai ci fosse stato un dubbio sul
sentimento prevalente che ha animato gran parte degli elettori che ha
votato Sì al referendum costituzionale, il dialogo con Mattia, piacentino di 21 anni, è assai rivelatore. Come lui la maggior parte degli intervistati ha una linea anti-casta piuttosto marcata. E non è solo una questione generazionale. Stefano, per
dire, 72 anni, pescato fuori da un supermercato, si definisce un grillino
della prima ora. Ed è raggiante per
l'esito delle urne: «Ce l'abbiamo fatta. È solo il primo pezzettino della
riforma. E adesso sotto con il taglio
degli stipendi di deputati e senatori. Noi le promesse le manteniamo».
Spiega che a suo avviso il conseguente taglio di rappresentanza territoriale non è un dramma. «Anzitutto un parlamentare dovrebbe rispondere alla nazione. Ma comprendo bene che un piacentino possa fare anche gli interessi della propria città. Ma mi dica se quelli attuali
hanno mai fatto qualcosa di concreto per Piacenza. Non mi pare».
A indagare tra la gente se si conoscano i nomi dei nostri rappresentanti
a Roma, si scopre che i più citano
Pier Luigi Bersani (Pd), Paola De Micheli (Pd) e Tommaso Foti (Fdi). Qualcuno cita perfino Massimo Polledri, l'ex parlamentare leghista, fuori ormai da qualche anno dai palazzi romani. E il commento è «che
quelli ci sono da una vita eppure Piacenza è sempre più triste e abbandonata» osserva Ludovico Sarzani.
Più d'uno però si ricorda bene del
caso scottante del bonus Inps da 600
euro che in agosto ha coinvolto la
deputata leghista Elena Murelli: «Poi
facciamo di queste figure. Il livello
dei nostri politici si è molto abbassato. Tanto valeva diminuire il numero. Finché non si cambia la legge elettorale…». Così ci si inizia ad
avvicinare a opinioni più costruite:
«Ho votato Sì - riferisce Anna Maria
Carboni tradendo forse la sua simpatia per il Pd - confidando sul fatto
che davvero sia la prima riforma di
una serie. Serve una nuova legge
elettorale che ci permetta di scegliere chi mandare a Roma. Manterranno le promesse? Chissà». E se domani avremo meno parlamentari
piacentini? «È un sacrificio da mettere in conto. D'altronde che siano
uno, due, o cinque fa molta differenza?». «No dai - la contraddice l'amica Liliana - qualcuno si impegna,
non bisogna mettere tutti nel calderone. Il problema è che poi, essendo in mille, faticano ad incidere».
Poi c'è un fronte minoritario di chi
ha votato No, a conferma dell'andamento del voto alle urne. «Ero dall'ex
ministro Calenda l'altra sera e sottoscrivo tutto quello che ha detto.
Questa riforma non produce alcun
risparmio, se non minimo. È solo
una manovra di demagogia pura.
Ma in fondo cosa possiamo aspettarci? Oggi la politica è in gran parte demagogia. Sono andato a votare No ben sapendo che avrebbe perso. Anche se, devo dire, mi aspettavo un maggiore equilibrio».
Piacenza, intanto, resta la provincia
della regione in cui il Sì ha ottenuto
la percentuale maggiore; e tra i 46
Comuni ottiene percentuali bulgare Corte Brugnatella, dove l'84 per
cento dei votanti ha confermato il
taglio dei parlamentari. Lo stesso
sindaco Mauro Guarnieri si dice
«stupito, anche per me quel dato è
una sorpresa, mi aspettavo vincesse il Sì ma non a tal punto». A sentire la gente, qualcuno indica la Statale 45, la strada-polmone turistico
ed economico del territorio, e dice:
«Per quel che hanno fatto fino ad oggi... Qualcuno si è anche battuto, per
carità, lo sappiamo, ma vada a prendere gli articoli degli anni Sessanta
di Libertà, vedrà che scrivete ancora gli stessi disagi...». A Ottone, pochi chilometri più in su, sulla stessa
strada, ha prevalso non il No e non
il Sì, ma lo stare a casa, tanto che i votanti non raggiungono neppure il 40
per cento degli aventi diritto: «I
montanari sono pratici, al referendum è mancata la prospettiva. La
gente voleva sentirsi dire "Tagliamo
i parlamentari per poi dare le risorse a..."», ipotizza il sindaco Federico
Beccia. È così? «Lo Stato è lontano
da queste povere isole tra i monti»,
risponde qualcuno nel bar. «Ci siamo abituati a cavarcela da soli, sentiamo più vicine la Provincia, al massimo, o la Regione al più».
La percentuale più alta di No si tocca a Zerba, il 37 per cento: «Ho notato molti No, forse perché il nostro
elettorato è composto da molti anziani che potrebbero avere un approccio più conservativo», dice il
sindaco Piero Rebolini. In effetti, fermandone alcuni intenti ad andare
al supermercato più vicino, a Ottone, dicono: «Siamo affezionati alla
Costituzione, al Parlamento, queste
sono terre di partigiani, la stessa
Anpi invitava a votare No. Tutto è
migliorabile, certo, ma se c'era un
costo allora era nelle retribuzioni,
non nei numeri».
Spicca poi la vittoria del Sì a Podenzano con oltre il 76 per cento, nel
paese della parlamentare Elena Murelli - anche consigliera comunale -
che proprio nel giorno del voto aveva scritto sulla sua pagina Facebook
un "BuongiorNO", con il "No" scritto maiuscolo, un appello al voto.
«Ma Elena non c'entra col nostro Sì,
volevamo solo dare un segnale,
chiedere un risparmio necessario»,
dicono alcune mamme, fuori da
scuola a Podenzano (la conoscono,
dicono). Altri: «Beh, non mi faccia
dire, ma siamo tutti delusi qui».
Libertà