Rassegna Stampa

'Scienza e ricerca armi di sfida ma ho pregato per tanti pazienti'

Data: 23/01/2023

LA STORIA LUIGI CAVANNA/ ONCOLOGO

DOPO 43 ANNI LASCIA L'OSPEDALE. IERI (NEL SUO COMPLEANNO) L'ULTIMA VISITA AL DAY HOSPITAL TRA PILE DI CARTELLE E RICORDI

«La ricerca come antidoto alla frustrazione», quando le cure non sono andate nella direzione sperata. Guardare avanti, sempre avanti, la ricerca non si ferma mai. Ma, ha mai pregato Dio per un paziente, dottore? «Ho anche pregato, sì, e tante volte». L'uomo di scienza, ai cui progressi affida le speranze di ogni persona a cui ha appena fornito una diagnosi di tumore, è un uomo di fede. Ieri, Luigi Cavanna, direttore del Dipartimento di cure oncoematologiche dell'Ausl di Piacenza, ha chiuso 43 anni di professione medica in ospedale. Lo ha fatto nel giorno del suo settantesimo compleanno. Da molto tempo non ha più uno studio personale. «Servivano spazi, il mio studio non era necessario». E così te lo ritrovi, per il congedo, seduto in una gelida domenica di gennaio nell'ufficio che condivide con due infermieri, sepolto tra pile e pile di cartelle cliniche che, avverte, «sto ancora sistemando». Ogni cartella contiene una storia, professionale e umana, per Cavanna. Il cellulare squilla in continuazione. E' domenica, ma è anche il giorno del suo compleanno. Risponde, ringrazia, e riprende il racconto, dopo un breve passaggio in reparto, l'ultimo in ospedale. Ha tirato fuori dall'armadietto un camice nuovo di zecca. «Per le foto», sorride. Alle pareti dei corridoi del Day hospital sono affisse foto in bianco e nero. Ritraggono abbracci. Non volti in particolare. Abbracci. «L'umanità - l'ha detto tante di quelle volte - non va mai disgiunta dalle cure».

«Uomo della campagna» 
L'uomo «della campagna», come si definisce orgogliosamente lui, originario di Bolgheri di Ferriere, alta Valnure, figlio di un autista di pullman e di una casalinga, filosofo mancato, ha conservato tuttavia della sua adolescenziale passione per la dissertazione filosofica la capacità di guardare alto. Coi piedi per terra, ma anche visionario il dovuto. Regalando a Piacenza, nella maturità, un'idea solidamente innovativa di sanità, in cui il territorio, il localismo delle cure rivendicano dignità e ruolo primario, contro qualsiasi concezione "ospedalocentrica". Lo ha fatto per anni nel campo dell'Oncologia facendone la bandiera del Cipomo, il collegio dei primari di Oncologia di tutta Italia di cui è presidente - e lo ribadito nel 2020, quando ai primi di marzo si mise in auto con l'infermiere Gabriele Cremona e cominciò a curare a casa i malati di Covid. Il 12 aprile Time gli dedicò una delle sue copertine, e la storia fece il giro del mondo. Era solo uno studente di Medicina a Pavia quando, al primo approccio coi pazienti gravemente malati, confessa oggi che sarebbe fuggito, in preda a uno shock da togliergli il sonno. «Eravamo alla fine degli anni Settanta, la mortalità per un certo tipo di diagnosi era ancora molto elevata ». Ma sull'istinto primordiale di fuggire, sulla paura che lo avrebbe condotto a fare il medico di paese, ha prevalso quella che lui stesso definisce «un'irrazionale attrazione». Il fascino, nutrito d'amore, della sfida. Il caso gli pone al fianco giovani colleghi che lavorano alle cellule staminali.

I primi trapianti 
E l'Ematologia diventa il suo banco di prova. In ospedale a Piacenza, comincia in Medicina, ne diventerà il primario, poi viene unita l'Oncologia, e nel 2004 l'allora direttore generale Francesco Ripa di Meana crea il Dipartimento di Oncoematologia mettendoci il dottor Cavanna al vertice. Ma Cavanna, coi piedi per terra ma anche il piglio temerario, aveva già gettato semi di futuro sul cammino della sanità piacentina. Nel 1999 è con altri colleghi (Civardi, Vallisa, Bertè) protagonista del primo trapianto di midollo osseo autologo a Piacenza. Nel 2002 sotto la sua direzione viene introdotto, sempre a Piacenza, il trapianto di midollo e staminali da donatore. «Nel 1999 - ricorda dalla scrivania sommersa di cartelle - fu un po' un azzardo, ma lo facemmo. Perchè un azzardo? I locali erano ancora quelli della Medicina, non c'erano i parametri stringenti di oggi». Quel primo paziente, a cui ne sarebbero seguiti centinaia in questi quasi 25 anni, era un uomo. Un piacentino, affetto da mieloma mellito. Alle spalle del primario, c'è un maxi cartello che riproduce un assegno. Una donazione, una delle tante, questa arrivata da Villanova per l'Amop.

La molla del volontariato 
Il pacato Cavanna, pacato nei modi, nella voce, pacato anche nel sorriso, nel campo del volontariato è stato un sobillatore. «Già nel 1999 il primo trapianto fu reso possibile grazie all'Apl, l'associazione piacentina per le leucemie. Mara Conti e Anna Braghieri condussero la raccolta fondi per la prima camera sterile». Apl esisteva già. Ma fu dietro la sua visione di cure mirate, e delle speranze riposte nelle staminali, che sarebbe venuta la linfa per la nascita a Piacenza dell'Admo, l'associazione donatori midollo osseo. «Con Franco Locatelli, allora pediatra a Pavia, giravamo in lungo e in largo la provincia di Piacenza, per diffondere il messaggio di farsi donatori di midollo». In seguito, sempre nell'alveo di Cavanna, avrebbe visto la luce l'Amop, l'associazione malato oncologico di Piacenza, «spostata sull'ambito oncologico, che, sempre grazie ai tanti volontari, ha contribuito a fornire borse di studio a medici, psicologi, infermieri, e ha spinto le attività di ricerca». La ricerca è stata un chiodo fisso per Cavanna. Seicentocinquanta le pubblicazioni di cui è autore, oltre 300 su riviste internazionali. Ricerca, ricerca, e ancora ricerca. E' il suo esorcismo alla paura della morte. «Nella mia professione l'ho incontrata di frequente, la morte. L'ho sentita vicina. E' inaccettabile quando colpisce una persona ancora giovane. La ricerca, dentro di me, controbilancia la realtà della morte. Fornire a una persona una diagnosi di tumore? Le cure e la ricerca hanno drasticamente ridotto la percentuale di morti. Alla persona devi dare il tempo giusto per capire, per assorbire. E lasciare sempre spalancata la via della speranza, supportata dai progressi di una scienza che ogni sei mesi produce novità». La porta dell'ufficio si apre, una delle infermiere mette dentro il capo, intuisce l'impegno e allarga un sorriso commosso, fa ciao con la mano e richiude la porta. Squilla ancora il cellulare, stavolta è la moglie, Marisella Gatti, presidente della sezione civile del Tribunale di Piacenza. Vuole sapere a che punto siamo. «Ci siamo sposati nel 1990, l'avevo conosciuta a un incontro sul volontariato qui, nella sala colonne dell'ospedale». La coppia vive a Quarto, in mezzo a quei campi dove il medico scappa quando non è in reparto. Meglio, "era". «Per la verità, vado in pensione ma continuo con la professione». Che possa diventare primario in una Casa di Cura (la Piacenza) è più di una voce. Il diretto interessato sorride, i contatti sono avviati. Non c'è ancora nessuna firma, Cavanna preferisce rimandare qualsiasi annuncio ufficiale. « Ma qui in ospedale l'attività dei colleghi continua, neanche da dire - avverte ci sono validissimi medici, tante dottoresse, l'assistenza è garantita ». Nei 43 anni di attività medica Cavanna è stato "vittima" due volte delle tentazioni della politica. Accadde alle politiche del 2001, dove fu messo in lista dall'Ulivo (prevalse Tommaso Foti). E, più recentemente, nell'ultima campagna elettorale per le comunali, quando la sindaca uscente, Patrizia Barbieri, lo presentò come futuro assessore alla sanità in caso di vittoria. Le urne dissero altro. « In entrambe le occasioni mi fu chiesto di mettermi a disposizione. La mia idea di politica è di farla per migliorare un campo che credo di conoscere, la sanità. E continuo a crederci». Ci accompagna all'uscita. Nel corridoio le seggiole sono vuote. «Non mi tolgo dalla testa una paziente. Una giovane madre, sedeva lì con la sua bambina disabile. Abbracciate, strette. Mi chiedevo: Dio, come farà questa bambina se...». Un groppo in gola. Ci salutiamo. «Voglio dire grazie a tutti i malati, ai pazienti, ai medici, infermieri, operatori, volontari». "Strongher together", "più forti insieme". Dice che resterà il suo motto.

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