Regione (Archivio)

Moschee mascherate: impedire l'uso distorto della normativa regionale.

Data: 16/11/2015
Numero: 1617
Soggetto: ASSESSORATO WELFARE E POLITICHE ABITATIVE
Data Risposta: 18/11/2015

Per sapere, premesso che:- 

il criminale attacco portato da un gruppo di mussulmani contro persone inermi, nella città di Parigi, il vero e proprio bagno di sangue innocente che ne è seguito, anziché coccodrillesche lacrime impone - quantomeno - a tutti i soggetti che costituiscono la Repubblica di attivarsi affinché si abbia chiaro lo spartiacque tra il diritto alla professione della propria religione e i fiancheggiatori, quando non apologeti, delle attività terroristiche; 

se è vero che l'articolo 8, comma 2, della Costituzione italiana dispone che "le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano", altrettanto vero è che il comma successivo dispone "i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze"; 

nei fatti, non esiste alcuna norma di legge che disciplini i rapporti con la religione islamica la quale, peraltro, non è organizzata tramite statuti. Pur essendo pacifico che non si possa negare per dette ragioni la libertà religiosa ai suoi aderenti, altrettanto pacifico è che non si può - come, invece, oggi accade in Emilia-Romagna - stravolgere la lettera della legislazione vigente ( ad esempio, in materia di "Associazione di Promozione Sociale") per favorire la proliferazione di moschee mascherate da centri culturali; 

sul territorio regionale, si assiste - infatti - all'esponenziale moltiplicarsi di associazioni che, ancorché auto definitesi "Associazioni di Promozione Sociale" (APS), nei fatti, hanno come funzione esclusiva e/o prevalente quella di gestire luoghi di culto per le comunità islamiche in immobili privi dei requisiti urbanistici, strutturali e di sicurezza, necessari, dovuti ed indispensabili per l'utilizzo ai detti fini;. 

molte associazioni islamiche si avvalgono, infatti, dei privilegi e delle agevolazioni riservate alle Associazioni di Promozione Sociale dalla Legge n. 383/2000, tra le quali quella prevista dall'articolo 32, comma 4, della legge stessa, che testualmente dispone: "Le sedi delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso… indipendentemente dalla destinazione urbanistica";

emblematici sono - giusto per citarne alcuni i casi dei " centri culturali islamici" di Piacenza (Via Mascaretti e Via Caorsana), di Reggio Emilia (Boretto, Guastalla, Luzzara), di Modena (Castelfranco Emilia), di Ferrara (via Oroboni e Cento - via Falzoni Gallerani -) di Forli (traversa di Via Ravegnana); 

il ricorrere impropriamente alle disposizioni di favore dettate dal legislatore nazionale per le Associazioni di Promozione Sociale non ha, tuttavia, giovato - in diritto - alle comunità islamiche allorquando, anziché trovarsi di fronte ad amministratori compiacenti, votati più ad essere "buonisti" che "buoni", si siano trovate di fronte a provvedimenti di diniego assunti da una pubblica autorità degna di questo nome. E' quanto emerge dalla sentenza 27 luglio 2010, n. 4915, del Consiglio di Stato, riferita ad una sala di preghiera islamica. Allo stesso modo, la sentenza 27 novembre 2010, n. 8928, del Consiglio di Stato avverso l'accoglimento del ricorso della locale Associazione Centro Culturale Islamico da parte del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia (sentenza n. 2716/2009) - sempre in materia di abuso edilizio avvenuto durante un cambio di destinazione d'uso da un laboratorio artigiano a un luogo di preghiera - distingue il piano dei «diritti costituzionalmente tutelati, quale è il libero esercizio del culto» e l'esigenza della «corretta applicazione della normativa edilizia»; 

la Giustizia Amministrativa in materia è univoca nel considerare come incompatibile con l'Attività di Promozione Sociale ogni attività di culto, anche se congiunta con altre attività. 

Da ultimo, con sentenza del 15 Gennaio 2013, n. 181, il Consiglio di Stato ha ribadito l'impossibilità di qualificare come Associazione di Promozione Sociale un'associazione islamica che, oltre a prevedere nel proprio statuto finalità quali: "favorire lo studio e la conoscenza della lingua araba e della cultura islamica, sia tra i credenti islamici sia tra i cittadini di diversa religione e cultura; promuovere una maggior comprensione, ecc…. " preveda di fare svolgere presso la propria sede attività di culto o di preghiera; 

il Consiglio di Stato ha anche precisato che la sede ed i locali di un'Associazione di Promozione Sociale non possono essere oggetto di un uso promiscuo tra attività di effettiva promozione sociale ed attività di culto, ribadendo nella citata sentenza n. 181/2013 che: "…proprio in considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale, le relative sedi, ai sensi dell'articolo 32, L. 7 dicembre 2000 n. 383, sono localizzabili in tutte le parti del territorio urbano, essendo compatibile con ogni destinazione d'uso urbanistico, a prescindere dalla destinazione d'uso edilizio impressa specificamente e funzionalmente al singolo fabbricato, sulla base del permesso di costruire". Ed ancora: "Pertanto, ove, come nella specie…, si rischierebbe di consentire un utilizzo del tutto strumentale ed opportunistico della normativa di estremo favore sopra richiamata per porre un edificio destinato al culto in qualsiasi parte del territorio comunale. Occorre ulteriormente precisare che, ai sensi dell'articolo 1 della citata Legge n. 383/2000, il valore sociale dell'associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo è riconosciuto anche per il conseguimento di finalità di carattere culturale e di ricerca etica e spirituale. E' evidente che la finalità di ricerca etica e spirituale è attività distinta dall'esercizio delle pratiche di culto, configurandosi la "ricerca" come attività che si giova della dimensione sociale e associativa attraverso lo scambio delle opinioni e delle conoscenze e che non può confondersi con la mera attività di culto, quale pratica religiosa esteriore riservata ai credenti di una determinata fede"; 

appare quindi fuori di dubbio che, se intendono favorire l'insediamento di luoghi di culto, le amministrazioni comunali devono individuare - all'interno delle norme tecniche di attuazione dei Piani regolatori generali, o degli strumenti urbanistici che a quest'ultimi si sono sostituiti (Regolamento Urbano Edilizio, Piano Operativo Comunale, Piano Strutturale Comunale) - apposite zone destinate ai servizi di quartiere, tra le quali quella specificamente prevista come categoria "AR - attrezzature religiose esclusi i conventi"; 

se e quali urgenti iniziative, anche di carattere legislativo, intenda assumere la Giunta Regionale per impedire un uso distorto della vigente normativa regionale in materia di Associazioni di Promozione Sociale - segnatamente dell'articolo 2, comma 1, lettera d) della Legge Regionale 9 dicembre 2002, n. 34 - utilizzata, come è nei fatti, dalle comunità islamiche per l'apertura di veri e propri luoghi di culto mascherati da centri culturali;

se la Giunta Regionale intenda sollecitare le Amministrazioni Comunali ad una puntuale verifica dell'utilizzo degli immobili destinati alle Associazioni di Promozione Sociale, e qualora siano riscontrate difformità al riguardo rispetto alle previsioni di legge, ad invitarle ad assumere i dovuti provvedimenti.

Tommaso Foti

Seduta Antimeridiana n. 48
OGGETTO 1617 Interrogazione di attualità a risposta immediata in Aula circa le iniziative da assumere, anche di natura legislativa, al fine di impedire l'uso distorto della normativa regionale in materia di Associazioni di Promozione Sociale, con particolare riferimento all'apertura di luoghi di culto islamico. A firma del Consigliere: Foti (Svolgimento) 

ILLUSTRAZIONE
FOTI: Grazie, presidente. Dell'attentato di Parigi parleremo dopo, ma rimane fermo il fatto che nella regione Emilia-Romagna vi è un'applicazione distorta delle norme di legge vigenti. Usando il grimaldello - che peraltro è preciso, in realtà, nella sua dizione legislativa - dell'articolo 32, comma 4, della legge n. 383/2000, che così recita: "le sedi delle associazioni di promozione sociale e i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso indipendentemente dalla destinazione urbanistica" e ancora di più utilizzando in modo specioso e illegittimo quanto disposto dall'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge regionale 9 dicembre 2002 n. 34, che dice che le associazioni di promozione sociale sono quelle associazioni rivolte a favore degli associati e dei terzi finalizzate anche alla promozione culturale, etica e spirituale, utilizzando il termine "spirituale" e confondendolo con il termine "religioso", si stanno aprendo centri di cultura islamica in tutta la regione nei quali, in realtà, si svolgono attività di preghiera e quindi si attivano delle pratiche di culto, ciò in violazione alla normativa regionale che prevede che per i luoghi di culto si debba avere non una destinazione d'uso d'accatto, ma la destinazione d'uso "AR", che vuol dire "attrezzature religiose". Io mi auguro che questa Giunta ponga fine a questa vergogna che sta infestando tutta la regione Emilia-Romagna. 

RISPOSTA
Assessore Elisabetta Gualmini:  Caro Consigliere, mi permetto di rispondere alla questione da lei sollevata nel question time del 18 Novembre prima sul piano tecnico e poi su quello politico. Sul piano tecnico, si fa innanzitutto presente che l'iscrizione nei registri delle associazioni di promozione sociale di cui alla L. n. 383 del 2000 non consente un accesso incondizionato al beneficio di cui all'art. 32, comma 4 della stessa legge quadro, così come ripreso anche dalla L.R. n. 34 del 2002 (art. 16). Infatti, relativamente a tale beneficio agisce senz'altro un diritto per le APS di utilizzo di locali anche ad invariata destinazione d'uso, esigibile però a condizione che tale utilizzo sia riferito effettivamente ad attività attinenti ai fini istituzionali di promozione sociale, ed avvenga nel rispetto delle necessarie norme igienico sanitarie, antincendio, di autorizzazione al funzionamento, ecc. Verificare tali condizione spetta dunque ai Comuni in quanto competenti in materia di edilizia privata, poiché il beneficio in argomento non può essere concesso se l'utilizzo dei locali è destinato esclusivamente o prevalentemente ad attività non di promozione sociale e/o previsto in difformità alle norme di tipo edilizio e urbanistico. In secondo luogo, siamo d'accordo sul fatto che l'attività di culto non può essere individuata come di promozione sociale, così come quasi univocamente espresso dalla Giustizia Amministrativa. Ma si pone il dubbio tuttavia che tale attività possa essere preclusa per una APS se svolta in modo del tutto marginale, occasionale e strumentale alle attività di promozione sociale ed esclusivamente riferita ai soci aderenti. Ciò poiché si ritiene che nemmeno il Consiglio di Stato dia di fatto una risposta definitiva al dubbio: si veda sia la stessa Sentenza n. 181 del 2013, sia il Parere n. 2489/2014 del 29/07/2014), nonché altre Sentenze nel frattempo intervenute come quella del TAR del Veneto del 27 Gennaio 2015. In terzo luogo, se proprio fossimo davanti a qualche specifica associazione a rischio di tangibile infiltrazione jihadista questo sarebbe un problema che esulerebbe dalla questione delle APS e investirebbe invece la dimensione dell'ordine pubblico e della pubblica sicurezza, configurandosi come un rischio urgentissimo che i servizi di intelligence dovrebbero prioritariamente prendere in carico, posto che questi non se ne siano già accorti. Concordiamo tuttavia sul fatto che la Giunta regionale possa dare ai Comuni maggiori e più puntuali indicazioni sull'esatta applicazione dell'art. 16 della L.R. n. 34 del 2002 e della normativa in materia di edilizia privata, tenuto presente che tali normative contengono già tutti gli elementi per impedire una distorta applicazione dei diritti e degli obblighi.
Peraltro, per esempio, pensare invero a una norma che precludesse categoricamente alle APS qualsiasi attività di culto, anche se esercitate nelle forme su descritte, vorrebbe dire intervenire su un numero considerevole di soggetti con diversa ispirazione religiosa. Mi permetta poi di fornirle una risposta anche sul piano politico, perché la questione investe anche una dimensione che esula dal necessario rispetto formale delle normative. Se dietro la problematica sollevata nel Question Time ci fosse in qualche modo la spinta a far muovere le istituzioni regionali a mo' di ritorsione rispetto alle barbarie di Parigi, vorrebbe dire che, secondo lei, ci troviamo già nel mezzo di una vera e propria guerra di religione, in cui noi saremmo contrapposti a tutti quelli che professano la religione musulmana, cosa peraltro contraria ai nostri valori e ai principi costituzionali (art. 8 e 19 Cost. e art. 9 Convenzione europea sui diritti dell'uomo). Seguendo il suo ragionamento emerge tuttavia una contraddizione: lei ci chiede di partire in battaglia e di gridare allo scontro di civiltà rinunciando ai nostri valori di convivenza civile, di libertà e di pluralismo, che è esattamente ciò che vogliono farci fare i nuovi barbari dello Stato islamico. La rinuncia alle nostre abitudini e alla nostra libertà è esattamente quello che i nemici della libertà vogliono da noi. Contrastare l'estremismo con un altro estremismo non ci pare la strategia migliore. A noi semmai interessa operare una netta cesura tra il fanatismo jihadista e i musulmani moderati e civili. La sfida che ci si presenta davanti oggi e nel futuro è quella di isolare i fanatici violenti e assassini dai milioni di esseri umani che professano pacificamente la loro religione. Non si tratta di buonismo o di retorica, ma di freddo e razionale rispetto delle norme, oltre che dei valori di apertura e dialogo che sono parte integrante della nostra cultura e della nostra Costituzione. E' vero che siamo in guerra. Sì, siamo in guerra, ma non si tratta di una guerra di religione. E' una guerra che ancora sfugge alle definizioni classiche a cui siamo abituati, in cui si sbiadiscono i concetti di amico/nemico e in cui non è chiaro quale sia il fronte di guerra (che è drammaticamente penetrato nelle nostre piazze, stazioni, stadi e persino ristoranti). E' una guerra contro una nuova forma di totalitarismo nichilista, contraria ai nostri valori di rispetto della libertà di ognuno di professare liberamente la propria fede religiosa. E' una guerra, tra l'altro, che ha origini incerte, che affondano più nell'emarginazione sociale delle nostre periferie che nella religione. L'Europa e tutto l'Occidente dovrà fare qualcosa in maniera unita e senza improvvisazioni spinte dall'emozione del momento. L'ultima cosa che possiamo fare però è trasformare questa delicatissima e drammatica sfida del nostro tempo in una crociata tra cristianesimo e l'Islam, facendoci prendere dalla psicologia dell'odio. Se facessimo così, avremmo già ceduto ai nuovi barbari assassini in giro per l'Europa. 

REPLICA
FOTI: Grazie, presidente. L'assessore Gualmini, forse per difendersi dalle accuse che le rivolgono all'interno della sua maggioranza di essere troppo di Destra, ha fatto un discorso che esula dalla mia interrogazione. Innanzitutto, assessore Gualmini, se l'ha letta, sa bene che io l'articolo 8 della Costituzione l'ho citato, lo conosco, ma conosco anche il comma 2 e il comma 3 che lei non ha citato: quando si parla di libertà di culto bisogna sapere che in Italia la Costituzione la disciplina nell'ambito di quelle che sono le convenzioni e le norme di legge che devono essere attuate. Lei sa che con la comunità islamica non esiste nulla in materia, quindi stiamo parlando del nulla rispetto a questa sua accusa secondo l'articolo 8 della Costituzione. Ma io non cito soltanto gli articoli della Costituzione. Lei prima ha citato una sentenza del TAR, io le ho citato una sentenza del Consiglio di Stato che è molto chiara; lei, che oltretutto anche professionalmente sa qual è la differenza tra una sentenza del TAR e una del Consiglio di Stato, non dovrebbe dimenticare che il Consiglio di Stato ha sancito l'incompatibilità dell'uso promiscuo tra attività di promozione sociale e attività di culto, quindi non meniamo il can per l'aia, non tiriamo fuori della filosofia inutile. La realtà è la vostra connivenza, nel nome non di essere dei buoni amministratori, ma dei buonisti d'accatto, nel non voler far rispettare norme di legge a cui un qualsiasi cittadino italiano risponde e che rispetta perché se io violo una norma urbanistica sono sanzionato. Nessuno ha detto che non vi deve essere la libertà di culto, ma la libertà di culto la si esercita quando i Comuni classificano zone "AR", che sono zone specificatamente destinate al culto: questa è la procedura ordinaria, questa è la procedura che seguono tutti. Lei mi cita esattamente che cosa si dice per le associazioni di promozione sociale, ma secondo lei in un'associazione di cultura islamica c'è un'elezione democratica dei vertici così come prevedono gli statuti che dovrebbero essere presentati? Ma voi avete visto che sul sito avete l'albo delle associazioni culturali aggiornate al 2012 perché non ci sono neppure gli aggiornamenti 2013 e 2014? Questa è connivenza pura e schietta! La Regione ha il dovere di dire semplicemente ai Comuni: la legge nazionale e la legge regionale danno dei parametri, chi è in questi parametri, benissimo. E lei sa benissimo perché è stata realizzata quella legge: perché innanzitutto nei centri storici vi erano miriadi di associazioni che avevano i 30-40 metri della sede, magari erano vecchi appartamenti, non si poteva fare la modifica di cambio di destinazione d'uso ad uso uffici e allora si è introdotta questa normativa a livello nazionale, ma ciò che è vergognoso è che i capannoni vengano utilizzati come sedi di associazioni di promozione sociale! Poi lei sa benissimo e meglio di me che non c'è bisogno di dire "a porte chiuse"; a parte che già sarebbe interessante capire in nome di quale libertà vi può essere una "libertà religiosa a porte chiuse", ma se lei sa come funziona, sa anche che in quei luoghi di culto vi è addirittura - lo dico per le femministe mancate di oggi - la distinzione nel fatto che gli uomini pregano da una parte e le donne dall'altra, non mi pare che siano precetti di tipo costituzionale che trovano fondamento nelle radici delle nostre norme. La mia domanda era tutt'altra, non era fare un processo alle intenzioni, era dire soltanto: chiunque sia l'associazione - io ho citato le associazioni islamiche perché lei sa che l'Emilia-Romagna è piena di moschee mascherate, ma qualsiasi associazione religiosa sia - se vuole esercitare la libertà di culto, lo fa nell'ambito della normativa legislativa italiana e quindi: fa l'istanza, se il Comune ritiene di non avere spazi, fa il cambio di destinazione d'uso dei terreni e quindi lo può fare attraverso il PSC, attraverso il POC, attraverso il RUE per quelli che hanno questi strumenti urbanistici, o con una variante di Piano regolatore, ma non è ammesso creare degli uguali più disuguali di altri, perché questo si sta facendo. Io mi auguro che la sua risposta, che lei ha detto essere di natura politica, se la rilegga bene e rilegga bene anche la mia interrogazione, perché nella mia interrogazione c'è scritto che nessuno vuole discriminare la libertà di culto, ma tra la discriminazione della libertà di culto e il rispetto della legge formale e sostanziale lei sa che è quest'ultima che prevale, perché prima viene la legge e poi viene la politica. Voi state utilizzando la politica per far violare le leggi.


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